Soggetto
Ercole,impiegato del ministero
sogna la promozione,ma una sera a teatro sternutisce sul
capo del suo direttore dando inizio ai propri guai.Per conservare
il proprio posto di lavoro deve fare un esame,ma viene bocciato.Decide
di morire per dare cosi' in sogno alla propria moglie dei
numeri vincente. Ma dall'aldilà questo non e' permesso,
sta per essere catigato ma quando colui che lo deve giudicare
viene a sapere che in vita ha lavorato per 30 anni al Ministero...viene
subito spedito in paradiso.
Critica e curiosità
Si tratta dell'unico film
in cui Totò e Alberto Sordi recitano insieme , epica
la famosissima scena degli esami in cui Totò da'
addosso all'odioso esaminatore - Sordi . Anche questo film
ebbe guai con la censura , infatti il film entrò
in sala di montaggio nell'ottobre del '51 ma uscì
nella sale solo alla fine del 1952. Inizialmente il titolo
dveva essere " E poi dice che uno..." e anche
il finale a causa della censura sembra avvolto nel mistero,
il film termina con Totò che viene spedito in paradiso
mentre una voce fuori campo annuncia "E questo fu il
sogno di Ercole Pappalardo", il regista Monicelli afferma
di aver girato la scena in cui Totò si risveglia
ma non ricorda di averla montata. Censurata anche la risposta
dell'archivista capo Totò alla domanda del maestro
Sordi sul nome di un pachiderma, la risposta è "Bartali"
ma la voce non e' quella di Toto' la risposta originale
poi censurata e' stata sicuramente tutt'altra lo si evince
anche dal movimento labiale di Totò.....
Scriveva Ugo Zatterin
(Il Giornale d'Italia 19/10/1952)
"Ieri Rascel chiedeva ispirazione a Gogol per proporci
in una equivoca chiave d'umorismo il dramma del piccolo
impiegato; oggi lo stesso dramma ce lo propone Totò
sulla scorta, nientemeno, di Cecov e in una chiave anche
più apertamente farsesca. Cecov, però, in
questo film è presente solo con lo schema esteriore
e molto travisato di due suoi racconti fusi insieme, e ancora
una volta a predominare nella vicenda e a improntarla di
sé è unicamente Totò con i suoi caratteristici
atteggiamenti comici e il suo facile spitito parodistico.[...]
Naturalmente questa paradossale conclusione e le situazioni
che abbastanza disordinatamente la precedono sono vistosamente
condite di facili spunti ispirati alla più convenzionale
contingenza politica e alla parodia di un certo costume
burocratico; ad essi si alternano momenti di più
sommessa polemica [...]".
E Franco Zannino (Rassegna
del film 11/2/1953)
"[...]Con Totò e i re di Romo i due registi
sono rientrati negli schemi deprecati e il comico napoletano
è tornato alla sua ormai scontata maniera farsesca
e marionettistica. Con un'attenuante, però: che questo
film - come già Guardie e ladri - sì discosta,
sul piano del contenuto, dai soliti pasticci a base di gambe
nude (in verità, ci sono anche le gambe nude, ma
ad esse è riservato un posto marginale). Nei titoli
di testa si legge il nome di Cechov: un semplice pretesto.Se
negli autori c'era, per caso, la vaga intenzione di erigere
una specie di contraltare a Il coppotto (1952) di Lattuada
(dove l'origine letteraria è Gogol), contrapponendo
al copista Rascel l'archivista Totò, essa è
miseramente fallita [... ]". |