"«[
... ] L'altra sera al teatro Sistina Totò si è
ripresentato al suo pubblico dopo sette anni di disputabili
successi cinematografici [...] . Un applauso interminabile
alla sua prima uscita e poi acclamazioni e risate durante
quasi tutto il primo tempo sino alla improvvisa esplosione
del Rock and Roll. Il secondo tempo è piaciuto meno
e io credo che tutto lo spettacolo guadagnerebbe parecchio
se lo si ridimensionasse, tagliando con coraggio in quella
seconda parte a cominciare dal finalissimo e sostituendolo
con il Rock and Roll. Anche riequilibrato in questo modo
nessuno griderebbe al capolavoro. Per un ritorno cosi importante
era lecito attendersi un testo più vivo e serrato
e invenzioni più divertenti. Siamo ben lontani dal
Totò a Capri e dal Totò nel vagone letto delle
sue grandi stagioni di alcuni anni fa. E tuttavia lo spettacolo
vale la spesa. Totò era più disorientato che
stanco, e mi dicono che ha fatto presto nelle recite successive
a ritrovare quasi tutta la sua verve e il suo scatto. E,
in ogni modo, egli è sempre e di gran lunga l'apparizione
più esilarante del nostro teatro di rivista [...]
" .
Sandro De Feo, L'Espresso, Roma, 2 dicembre 1956.
" Dopo sette anni di cinematografo, Totò è
tornato alla rivista. Per sette anni i suoi gesti e la mimica
anche più segreta del suo volto sono stati scrutati
dagli obbiettivi nel gioco angolare delle luci e sono stati
ingranditi nei primi piani dello schermo. [..] Le prospettive
teatrali sono molto diverse: L'Uomo deve tornare ad essere
Maschera, la mimica facciale più sottile deve diventare
smorfia violenta, l'attore deve moltiplicare le dosi della
virtù comica per ottenere l'onda lunga che lo metta
in contatto con lo spettatore lontano. In certi momenti
sembra non ci siano "valvole" che bastino per
ottenere quello che in radiofonia si chiama un'alta fedeltà.
I cinque, i dieci minuti dello sketch non bastano a dar
vita ad un personaggio: sono appena sufficienti per modellare
una macchietta. E' una lotta dura, un ritorno duro a mezzi
tecnici più ristretti e più avari. [...] Questa
prova di ridimensionamento è quasi tutta riuscita,
soprattutto nella seconda parte della rivista. Prima, la
famosa maschera ci era apparsa ogni tanto sfocata, come
vista dietro ad un vetro qua e là smerigliato. La
recitazione, più che una invenzione immediata, ci
pareva "estratta" da un appello un po' inquieto
a memorie di effetti che erano familiari sette o quindici
o vent'anni fa - addirittura al tempo di Totò sconosciuto
alle folle - e che i sette anni consumati in un'altra tecnica
espressiva avevano reso un po' consueti. Le battute erano
spesso un po' massicce: qualcuna scivolava su sentieri di
una comicità facile ma un po' viscida. L'attore era
andato approdando ai porticcioli di effetti già molte
volte collaudati e per chi aveva buona memoria l'impressione
era un po' quella di assistere ad una selezione antologica
del "primo Totò" come nelle cineteche si
fa con i cortometraggi del "primo Charlot". Le
ripetizioni e le "citazioni classiche", si sa,
non giovano effettivamente a nessuno, soprattutto nel teatro
comico, che brucia rapidamente la sua prima virtù
che è quella dell'inatteso. Gli effetti migliori
Totò andava ritrovandoli più che negli scatti
marionettistici di un tempo e più che nei divincolamenti
disossati, nella dosatura delle sfumature mimiche. Alla
fine, quando si è compiuto il congiungimento con
la tradizione e con l'origine del vecchio music-hall - ci
hanno detto che la parodia dell'Otello è un "numero"
di andatura quasi petroliniana, che risale a molti anni
or sono - Totò ha ritrovato completamente la sua
sua misura di grande maschera comica. Il pubblico aveva
avuto in un primo tempo una larga cordialità: alla
fine ha avuto la prova che ritrovava il suo Totò
nella misura completa e gli applausi si sono fatti fittissimi.[...]
" .
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